martedì 6 agosto 2013

Principi fondamentali della Tradizione 3. L'Autorità


La Tradizione è sinonimo di verità e giustizia poiché afferma tutto ciò che è ordine, di contro alla menzogna e alla ribellione che appartiene ad una visione moderna dell’esistenza. 
Un’altra caratteristica della Tradizione è il suo rapporto diretto con l’Autorità, dalla radice indoeuropea Aug = aumentare, crescere, da cui deriva Auctor = Augusto, colui che è provvisto della potenza divina. Quando si parla di Tradizione è normale riferirsi all’Autorità, che è in diretta connessione con l’Imperium: la pienezza della potenza sovrana e ordinatrice. L’Imperium è il potere che viene direttamente dalla divinità, messo in relazione con la virtù e la qualità del Re, nella cui persona si fondano insieme il potere politico, militare, legislativo e religioso. Un esempio è rappresentato dall’aristocrazia, cioè da quell’ordine che vige in una comunità, nella quale l’autorità genera una distinzione naturale tra gli uomini per il loro valore, funzione, vocazione e qualità. 

Dall’autorità deriva la gerarchia, dal greco jeros = sacro e arché = principio, ordine, cioè l’ordinamento degli uomini, che pone i migliori al di sopra degli altri. Ogni uomo è un piccolo universo e come tale non è uguale a nessun altro, se non a sé stesso, così la gerarchia e la selezione misurano e regolano questa diversità. "Infatti in alcuni uomini superiori vive in forma di presenza e di realtà, ciò che negli altri esiste, solo come aspirazione confusa, come presentimento, come tendenza, per cui questi ultimi sono fatalmente attratti dai primi e naturalmente ad essi si subordinano" [1]. E’ l’inferiore, infatti, ad avere bisogno del superiore.

La gerarchia non è una scala burocratica che si ascende dopo tanti anni di anzianità o di anticamera, essa fa riferimento a valori tradizionali.

Al vertice vi è colui che meglio di altri riesce ad incarnare questi valori, riesce a viverli e a farli propri: il migliore tra i migliori, il "primis inter pares" cioè il primo tra i pari, colui che è dotato di maggiori qualità. Ecco, quindi, delinearsi da una parte una minoranza, l’élite che è qualità e dall’altra una quantità che è numero. Quanto maggiore è il grado della qualità, tanto minore è il numero delle persone che tali valori possiedono. Il fondamento primo dell’autorità è la qualità sacra e non umana, la cui legittimità deriva direttamente da Dio. L’autorità è simbolo ed espressione di ordine, pace e armonia e si realizza attraverso la gerarchia, nella quale ognuno, riconoscendo il proprio posto, partecipa attivamente alla vita dello Stato in una visione organica. Questa visione organica fa sì che le diverse parti (uomini – famiglia) contribuiscano a formare il tutto (comunità – Stato) in una armonia generale, in cui ciascun uomo gode della propria autonomia, necessaria per sviluppare la propria specificità o natura. Rifiutando qualsiasi prevaricazione di una parte sulle altre, si ignora qualsiasi scissione o atomizzazione del particolare ed ogni uomo è libero di formarsi nel proprio campo secondo la sua natura e mediante la propria vocazione cosicché questa visione ordinata determina il potenziamento del particolare, e non il suo ridimensionamento.

Note
(1) Cfr. Julius Evola, "Gerarchia e democrazia", Padova, 1970.

Tratto dal Saggio sui principi fondamentali della Tradizione - Raido

Cambia te stesso

In un epoca di attivismo, in cui si dà importanza soprattutto all’apparenza, alla quantità e al movimento scomposto, piuttosto che all’Essenza, all’interiorità e all’azione precisa e indirizzata dall’Alto, il compito primo e fondamentale è quello della Rivoluzione interiore. Rivoluzione del proprio modo di sentire il mondo, che deve passare necessariamente, in una fase preliminare, per una rivoluzione del proprio modo di sentirsi, di percepirsi, andando a colpire tutte le scorie, i residui e i sedimenti che, come lacci ci impediscono di indirizzare la nostra esistenza verso l’Assoluto, in un azione pura e sacrificale. Azione questa,che deve sgorgare da un Sé finalmente conosciuto, non più astrazione intellettualistica, se non mero strumento di indagine di filosofi e psicologi, bensì contatto con l’Essenza, depurata dagli elementi contingenti che, in un mondo come quello attuale, non possono che essere elementi catagogici,che trascinano verso il basso.
Alzarsi, darsi una forma e una drittura, disse Julius Evola. Eco può fargli, su altro livello, il Capitano Codreanu,che lamentò non la mancanza di programmi politici (e quindi di azioni,di idee e di “attivismo”), ma di uomini. E l’uomo è il primo banco di prova. Se si vuole cambiare qualcosa nel mondo, si cominci in primis a lavorare su sé stessi. Ci si circondi di camerati fedeli, uomini che percorrono il nostro stesso irto Sentiero,che combattono la nostra stessa “grande guerra Santa”, che mirano alla chiarezza, alla centralità, al diradarsi delle nebbie e dei fantasmi del mondo moderno. Si cementi questa vera “fratellanza” con un azione sottile e persistente, non meramente sentimentale, ma in certo senso magica, e si continui a lavorare a lento fuoco. Si cerchi di ricordare che nulla accade in terra che non accada in Cielo,e che ciò che è in Alto è come ciò che è in basso. Che quando un vincolo sarà stato spezzato,di ciò si avrà eco nei cieli, e che un azione di tal fatta produrrà effetti anche nelle persone intorno.
Creare dei “limiti”, darsi un ordine interno e rispettarlo. Agire sempre con presenza in ciò che si fa e non essere trasportati. Ciò trasforma un azione profana in un azione in cui comincia a intuirsi un qualcosa d’ordine superiore. Combattere sempre per far trionfare in sé la Luce e la Verità, non abbandonarsi mai all’abiezione e ai futili miti che questo mondo crepuscolare vuole assurti a verità inconfutabili. Guardare sempre alle cause e non agli effetti,ben capendo dove il Nemico vuole portarci con una determinata “spinta interiore”, con un determinato pensiero. Governare i propri pensieri,e non esserne governati. Cercare l’Egemonikon degli antichi stoici in Sé. Trovatolo, farlo diventare Centro,immobile, nella corrente tumultuosa delle acque. Del resto si diceva nell’Ellade dorica: conosci te stesso: in tè c’è l’Universo intero.
Essere esempio. Non parlare, ma agire. Non giudicare dalle belle parole,ma dalle realizzate azioni. Agire senza cercare alcun riconoscimento, alcun merito, alcun premio. Sia premio il fare ciò che deve essere fatto, affinché “Uomini siate,e non pecore matte”.
RAIDO

domenica 4 agosto 2013

Perchè ci piace Rino Gaetano. Una Voce fuori dal coro

Rino Gaetano, dopo essere finito nel dimenticatoio per anni, è ultimamente «tornato di moda»; internet ha permesso alle nuove generazioni di conoscere questo genio della musica italiana. I testi delle sue canzoni colpiscono perché parlano di problemi sociali, di vita reale, attaccano i personaggi cult della nostra società (gli Agnelli, i Costanzo, gli onorevoli e i senatori, ecc.), ma lo fanno in modo leggere, scanzonato, irriverente e divertente, in un modo che lo differenzia dai vari Guccini e De André.
 Rino Gaetano ci piace per questo, perché è un artista popolare (ovvero del popolo), perché le sue canzoni nascono nelle strade e nelle osterie, perché prendono spunto – come lui disse più volte – da frasi dette da gente comune davanti a un caffè o a un bicchiere di vino.
Ci piace perché, nella migliore delle ipotesi, viene snobbato mentre, in altri casi, viene addirittura screditato e infangato (un esempio ne è la fiction trasmessa dalla RAI) dall’élite della canzone italiana e dai media.
Ci piace perché era un Uomo Libero, non riconducibile a nessun partito, un artista anarchico che aveva il coraggio di attaccare tutti e tutto, che già 40 anni fa si scagliava contro coloro che avrebbero dovuto portare avanti le istanze del popolo.
Ci piace quando parla delle fabbriche e del «lavoro di catena che curva a poco a poco la tua schiena», quando parla di «sub-appalti e corruzione e bustarelle da un milione», quando parla di «politici imbrillantinati che minimizzano i loro reati» (quant’è attuale Rino!!), ma anche quando si incazza e dice che «con la mia guerra voglio andare ancora avanti e, costi quel che costi, la vincerò non ci son santi», oppure cerca in ogni cosa «uno spunto per la rivoluzione»; ci piace quando urla «la festa è finita, evviva la vita!», perché sembra volerci dire che i problemi si affrontano senza piangersi addosso.
Ci piace, in tre parole, perché era un Artista Libero e Rivoluzionario.

http://www.ideodromocasapound.org/?p=173 



sabato 3 agosto 2013

Principi fondamentali della Tradizione 2. IL SACRO E LA TRADIZIONE


Per l’uomo contemporaneo è normale considerare la divinità come una cosa astratta e lontana, non più presente e agente nella vita di tutti i giorni. Si vive un mondo desacralizzato, dove tutto viene sacrificato ai ritmi della produzione e al consumo di massa, con il conseguente allontanamento da ogni tensione interiore.
Con la parola "sacro" si afferma, non solo ciò che trascende e oltrepassa l’uomo, il tempo e la stessa vita, bensì ciò che vive in eterno. Il sacro, quindi, è "ciò che ricollega la vita terrena alle forze invisibili del mondo soprannaturale", è un ordine retto da Leggi che si collocano al di sopra dell’umano, orientato verso il divino. Etimologicamente Tradizione deriva dal latino tradere, formato da trans = oltre; e da dare = consegnare e indica un’azione di passaggio, che più propriamente si deve tradurre nel concetto: "ciò che si trasmette". Tradizione non è conservazione, fissazione delle forme esteriori o di cose di cui non si comprende più il significato, ma trasmettere, tramandare, consegnare in modo diretto e reale un’eredità, la cui origine non è umana, ma essenzialmente spirituale. L’azione tradizionale è un’azione dinamica; la sua trasmissione, come condizione primaria per realizzarsi, presuppone un collegamento tra chi consegna e chi riceve, quest’ultimo ha il dovere di continuare a far vivere l’eredità dei Padri. Questa eredità si manifesta sotto forma di forza ordinatrice, lungo le varie generazioni, informando tutta la realtà e superando il fatto materiale e biologico del vivere stesso.

Con rigore si deve parlare di "Trascendenza Immanente", cioè di una forza spirituale che agisce come presenza reale, viva, dinamica e creatrice, attraverso istituzioni, culture, costumi, leggi, religioni e altri ordinamenti, facendo "in modo che i valori spirituali e super-individuali costituiscano l’asse e il supremo punto di riferimento per l’organizzazione generale". (1) Ciò assicura la continuità dei principi da un’epoca all’altra, per far sì che tutte le attività siano orientate in modo unitario, secondo un’idea centrale, direzionata dall’alto e verso l’alto.

Assumersi l’onere di dirsi oggi uomo della Tradizione diviene un impegno, affinché il testimone che ci viene consegnato possa essere tramandato a chi verrà dopo di noi. 



Tratto dal Saggio sui principi fondamentali della Tradizione - Raido
 

Note
(1) Cfr. Julius Evola "L’arco e la clava" Ed. Mediterranee.

venerdì 2 agosto 2013

Venerdì Sera Musicale: L’Italia “Eroica” di Skoll. Storia di Uomini ed Eroi



Quella descritta da “Skoll” nel suo ultimo album di recentissima pubblicazione (EROICA, Rupe Tarpea, 21 aprile 2013) è un’Italia di persone, episodi e momenti che attraversano la storia per tracciare un filo rosso che arriva fin quasi ai nostri giorni.
Al di là della qualità grafica del libretto (bellissime le fotografie del santuario del Monte Grappa, i chiaro scuro dei caratteri e tutta l’impaginazione), alla quale Skoll ormai ci ha abituato, le dieci canzoni di questo lavoro – testo e musica di Federico G. e arrangiamenti di Davide Picone e Fabio Constantinescu – in parte diverse dal suo classico stile, sono ognuna un quadro dai tratti musicali e poetici di rara efficacia.
A cominciare da “Carnera”, dedicata al pugile eroe che, conquistando il titolo mondiale dei pesi massimi a New York nel 1933, riscattò una vita di sacrifici e rese orgoglioso un intero paese: “…il riscatto di un’ombra, dell’intera Nazione, perché colpivi più forte e diventavi campione…”.
La seconda traccia, che ci riporta indietro nel tempo fino al 1860, è intitolata“Mille” e racconta di “…mille uomini sotto un tetto di stelle, mille uomini, ne vivremo delle belle! E se tornerai, lo racconterai a una donna. E se tornerai, allora le dirai: ho fatto la storia!…”.
Gli Aquiloni del Grappa” è invece per tutti i ragazzi che difesero l’Italia nella Grande Guerra e, sottolineata dalle note di un pianoforte, è una ballata di rara bellezza che commuove quasi per la semplice e profonda familiarità delle immagini che descrive e delle sensazioni che evoca.
A seguire c’è “L’Ala d’Italia”, liberamente ispirata alle parole di Gabriele D’Annunzio in volo su Vienna e dal cui ritornello è tratto il titolo del cd: “…Viva l’Italia! Oseremo quel che vorremo! Via eroica: come fai, salirai, dove volerai?…”.
L’ultima carica” narra di un episodio di guerra del fronte dell’est avvenuto nel 1942, la carica di Jsbuscensky: “…sciabole tributo al cielo, velocità che gonfia il cuore. Se alla mia forza non credete, io ve la dimostrerò. Gli occhi di brace di un fratello, la spada contro i parabellum è quello che oramai nessuno ha deciso di osare più…”. Raro esempio di orgoglio e onore, che la musica e le parole di Skoll rendono alla perfezione.
La sesta traccia di EROICA è intitolata “Quanto vale?” ed è dedicata a Paolo Borsellino e a chi –come è scritto nel libretto del cd – come lui è rimasto fuori dal fango del compromesso politico e mafioso. Il ritornello di questo brano è come uno schiaffo in faccia a tutti coloro che hanno fatto del mettere sempre al primo posto il loro interesse la propria regola di vita: “…quanto vale un uomo differente? Quanto vale dentro a tutto questo fango? Quanto vale una schiena sola e dritta quanto vale?…”.
Nottata di vento” è l’unica canzone del cd dai risvolti più personali: “…e poi io lo so, le tue promesse son durate come un fiore ed il tuo cuore non fa rima con amore…”. Frasi alle quali chi ascolta può attribuire significati e intensità legati alla propria esperienza di vita.
L’orgoglio italiano ritorna prepotente nella traccia successiva, “K2”, dedicata appunto alla conquista italiana di tale vetta. Skoll ne parla immaginando il dialogo tra uno degli uomini che fecero l’impresa e la sua donna. Parole da cui emergono tenerezza e fierezza: “…guardami, io non ti posso più vedere perché il sole mi ha accecato quando ci sono entrato. Avvicinati, che ti vorrei sfiorare… La nostra bandiera resiste al sole e soprattutto alla bufera…”.
A seguire “Come notti di Sicilia”, liberamente ispirata alle parole di Filippo Tommaso Marinetti e, per chiudere, “Questo mondo non basta” (titolo anche dell’ultima fatica editoriale di Federico – Ed. Ritter 2012), che riassume lo spirito di tutto il disco (e non solo): “…la schiena sempre dritta, grandezza, esempio e slancio!…”. Lo stesso slancio che Skoll mette nello scrivere canzoni sempre più belle e curate, lo stesso slancio che ognuno di noi dovrebbe ogni giorno mettere per rendere, anche soltanto nel suo piccolo, la nostra Italia sempre più EROICA.


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Principi Fondamentali della Tradizione - 1. DALLE ORIGINI AL MONDO MODERNO

Con questo post inizierò una serie di scritti che faranno parte di un percorso, attraverso il quale propongo di approfondire quelle conoscenze necessarie per definirsi davvero Tradizionalista.
Per chi lo vorrà, non sarà una semplice lettura, ma qualcosa di più, un orientamento dottrinale, che andrà oltre le belle parole, e che determinerà un modo d´essere e un´appartenenza.
L'Uomo della Tradizione è colui "che dinanzi alla follia del mondo moderno, costruito sul profitto e sulla sopraffazione, oppone un impegno totale per lottare contro ogni abuso e devianza. Si tratta di assumere una disciplina che abbia come scopo il dominio di sé, che valga a ripristinare il senso Sacro della Tradizione, come visione del mondo e come Stile.
Non è più tempo di arrampicarsi sugli specchi, lo Stile non può essere appreso o inventato è una questione di "qualità", è un sentire profondo reale, allora o lo si possiede o si è altro ... solo perdita di tempo."
Dalla presentazione del testo Elementi della Cultura Tradizionale - RAIDO

1. DALLE ORIGINI AL MONDO MODERNO
Nel linguaggio comune il termine Tradizione ha ormai assunto il significato di consuetudine, di abitudine e di costume. Quando si parla di Tradizione ci si riferisce a qualcosa che è appartenuto e che appartiene al passato lontano, il cui ricordo assume oggi solo una forma folcloristica. Un esempio ce lo offre il Natale, del quale rimane attuale solo l’aspetto consumistico, tanto che per la maggioranza delle persone ha ormai perso il valore sacro che possedeva in origine. Non è assolutamente questo il senso e il valore, che si deve attribuire alla Tradizione, in quanto essa è l’insieme di valori eterni, sacri ed incorruttibili. Passando all’esame del mondo tradizionale va subito affermato che esso conosce un’unione, un collegamento effettivo, tra la realtà divina e quella umana, tra spirito e materia. Questa unità né conosce né concepisce la scissione che è propria al mondo moderno, scissione tra sacro e profano (1). Per la Tradizione la partecipazione al sacro è il fondamento di tutta la vita, personale e collettiva, divenendo un’incessante ricerca e ascesa verso l’alto. La stessa Natura con i suoi ritmi e le sue leggi, è concepita come la manifestazione visibile di un ritmo e di un ordine superiore. Tra cielo e terra, tra Dio e uomo, non c’è alcuna separazione o distacco, bensì una vera e propria "similitudine", scorgendo nel secondo il riflesso del primo. Per la dottrina tradizionale, i fenomeni e le forze della natura vanno percepiti come l’espressione di una realtà superiore in quanto simboli atti a spiegare la conoscenza non umana. Premesso questo, si può affermare che l’uomo tradizionale, a differenza dell’uomo moderno, non ha una concezione elementare della Natura, ma al contrario possiede una percezione simbolica e spirituale della stessa. Comprendere il reale significato dei simboli diventa così un sostegno per l’uomo che oggi vuole intraprendere la via della risalita.
Al luogo dell’utopia materialista e progressista dell’ "evoluzione", la civiltà tradizionale conosce una verità opposta: la visione ciclica ed eterna. "Dalla nobiltà delle origini", nello scorrere del tempo, si venne a creare una involuzione. Dalla perfezione dell’origine, infatti, si verificò una caduta dovuta alla dequalificazione dell’uomo, che originariamente non era, come vuol farci intendere la moderna teoria evoluzionista, un essere animalesco, ma al contrario un essere migliore di quello attuale: un "più-che-uomo", un semidio. Così se per la scienza moderna, attraverso la sovversiva teoria evoluzionistica dell’uomo, gli uomini da stati inferiori si sono sempre più evoluti, per la cultura tradizionale da stati superiori originari gli esseri sono decaduti in stati sempre più condizionati da fattori terrestri e materiali. Questa caduta, determinata dal prevalere dell’elemento umano e mortale, è conosciuta nella memoria di vari popoli come "l’oscuramento degli Dei", cioè il ritirarsi delle influenze celesti e l’incapacità da parte dell’uomo di non sapere più attrarle verso sé.
Vi sono, quindi, due modi di intendere e di interpretare la Storia. Da una parte quello moderno e progressista che considera il tempo come un ordine di avvenimenti successivi, misurabili come una quantità, con un prima e un dopo, che procede secondo un ritmo numerico e cronologico. Dall’altra vi è il modo tradizionale, ciclico, simbolico, che guarda allo sviluppo e al tramontare delle civiltà. Dal libro di Esodo "Le opere e i giorni" possiamo ricavare la concezione che gli antichi avevano della Storia divisa in quattro età. Per loro il tempo non scorreva uniformemente e indefinitamente, ma si ripartiva in cicli o periodi, ciascuno dei quali aveva un proprio significato e una propria specificità. Ognuno di questi cicli era quantitativamente diseguale e il loro insieme formava la totalità del tempo. I vari periodi venivano simbolicamente raffigurati da diversi metalli – Oro, Argento, Bronzo e Ferro – a seconda del loro rapporto con l’origine. Questi diversi metalli esprimono simbolicamente un processo di decadenza spirituale attraverso quattro cicli o generazioni. Secondo questa visione, come già detto in precedenza, l’umanità all’inizio avrebbe conosciuto una vita simile agli Dèi, in seguito sarebbe decaduta a forme di organizzazioni sociali dominate dall’empietà, dalla cupidigia, dalla violenza e dall’inganno. Dalla perfezione delle origini si è passati alla separazione del potere guerriero da quello spirituale, per concludersi nel dominio della razza dei mercanti (borghesia). In questo modo alterata l’unità del Principio, si venne a creare una vera e propria involuzione. Questa verità si ritrova in molti testi sacri, dove si conserva il ricordo delle origini, come qualcosa di luminoso e immortale. Si parla di una mitica razza che abitava nella luce eterna, in rapporto diretto con le forze cosmiche e divine. Infatti, non si conosceva fatica e dolore, la terra era generosa e produceva spontaneamente i frutti in abbondanza e gli uomini non conoscevano né vecchiaia, né morte. Questi ultimi erano saggi e felici, "coloro che sono e che possono". Si narra di un tempo primordiale che per le sue caratteristiche venne definito "il ciclo dei Veglianti". La sede, collocata all’estremo Nord, venne chiamata la "Terra dei Veglianti, la sempre verde e lucente". Questa è la patria degli Iperborei, la mitica Thule, Avallon, il Continente bianco, il Paradiso terrestre o l’Età dell’Oro, dalle cui radici fiorirono tutte le civiltà. Era questo il tempo in cui si poteva dire di "uomini che erano simili a Dèi mortali e di Dèi che erano simili a uomini immortali". E’ evidente come, nell’epoca primordiale, uomini e Dèi vivevano in totale armonia, un epoca in cui l’adesione alla verità e alla giustizia era naturale ed assoluta.
Gli Iperborei, la razza delle origini, che chiamavano se stessi gli Arya, i nobili, incarnavano una natura olimpica e regale. Alcuni simboli e caratteristiche che contraddistinguono questa età ne fanno comprendere meglio il suo valore. Si ritrovano, così, le idee di Stabilità e di Centralità, i cui simboli sono: il Polo, la Pietra di fondamento, il Centro, le Vette inaccessibili, la Vita e l’Immortalità, la Luce, il Fuoco ed il Sole.
In un dato momento l’unità tra la divinità e l’uomo viene meno, di conseguenza quest’ultimo è sempre più preda di elementi materiali. Privo di ogni riferimento superiore, l’uomo sprofonda nell’insicurezza e nell’angoscia di fronte allo scorrere banale dell’esistenza. Conformità e fedeltà iniziale, andarono progressivamente tramontando sino all’apparire del mondo moderno.
La memoria storica dei popoli antichi, afferma che il passaggio da un’epoca all’altra era caratterizzato da veri e propri cataclismi. Un esempio innegabile è l’inclinazione dell’asse terrestre e il conseguente mutamento del clima. Di questo evento si conserva il ricordo in molte tradizioni che parlano di una mitica glaciazione che rese inospitale la sede iperborea e necessaria la migrazione dei suoi abitanti. Simbolicamente, l’inclinazione dell’asse terrestre rappresenta la caduta, l’alterazione spirituale e la conseguente perdita del "Centro", cioè delle origini (2). La conseguenza di tale caduta fece sì che ciò che era manifesto si oscurò e dalla prima età, quella dell’Oro, il Ciclo artico, si passò alla seconda: l’età dell’Argento o Ciclo atlantico. Quest’ultimo è indubbiamente meno regale del primo, ma pur sempre nobile. In quest’età, come reazione alla perdita dello stato primordiale, nasce la Religione; dal latino Re-ligio = ricollegare, riannodare; con le sue forme panteistiche, devozionali e mistiche. Simboli per eccellenza di questo periodo sono la luna, la notte, il serpente (fecondità), che indicano l’elemento femminile. La donna, quale madre, viene eretta a principio e sostanza della generazione. La divinità maschile è concepita come mortale. Inoltre la società è regolata dal principio sacerdotale e la funzione regale è confinata al solo potere politico. Quest’epoca difatti segna l’inizio della separazione del potere politico dall’Autorità spirituale. Ma il ciclo di caduta non si arresta, così al secondo periodo subentrò l’età del Bronzo o Ciclo dei Giganti. Questa fase è caratterizzata dall’affermazione della virilità selvaggia e materializzata, l’elemento spirituale è ormai secolarizzato (3). Non esiste più la vera Autorità, ma un semplice dominio che per affermarsi deve adoperare la forza. Questa è l’epoca della violenza e dell’usurpazione. Infine, viene l’età del Ferro o "Ciclo oscuro", corrispondente al nostro tempo, dove predominano l’ingiustizia, la morte e il dolore. In questa fase "fa da re" il potere economico, l’uomo è impegnato esclusivamente alla ricerca del "benessere a tutti i costi", dimenticando il suo rapporto con il divino. Prendono il sopravvento le forze infere legate allo scatenamento della materia. La funzione regale, presente e naturale nell’Età dell’Oro, ora si è ritirata e non è più manifesta. A queste quattro età se ne affianca un’altra, chiamata età degli Eroi o Ciclo Ario: essa costituirà la restaurazione dell’età aurea. Questo Ciclo è il superamento dei vari stadi di caduta, rappresentante la riconquista dell’età aurea, con il conseguente ricollegamento alla sacralità delle origini. Dovere dell’uomo della Tradizione è impegnarsi affinché questo periodo veda le schiere del Fronte della Tradizione preparate ad affrontare gli oscuri nemici e uscirne vittorioso.

Tratto dal saggio sui principi fondamentali della Tradizione dell'Associazione Culturale Raido-

Note:
(1) Questa verità la si può dimostrare facendo riferimento alla vita quotidiana. Così come il corpo che si nutre di alimenti sani manifesta salute e benessere psicofisico, allo stesso modo, la persona che compie il proprio dovere, in ordine ai valori della Tradizione, riscontra intorno a sé l’effetto ordinatore delle sue azioni.
(2) Per analogia si può osservare come l’inclinazione dell’asse terrestre sia in corrispondenza con l’inclinazione dell’asse del cuore umano.

(3) Secolarizzazione: istituzionalmente è un provvedimento con il quale il chierico viene ridotto ad uno stato laicale. Attualmente, per "processo di secolarizzazione" si intende il progressivo venir meno della presenza dell’elemento religioso nella vita del singolo e nella società.